Come l’aglio per Dracula

Ormai da oltre vent’anni insegno alle scuole superiori anche se non con continuità poiché dal 2013 vivo a Ginevra per seguire la mia futura moglie che lavora al CERN; tuttavia il prossimo settembre anch’io tenterò di “rientrare” a scuola. Io e la mia compagna siamo un cervello e mezzo in fuga: lei è la parte intera, io la restante metà. Nonostante le mie dimezzate capacità cerebrali mi piacerebbe fare il punto sulla riforma della scuola. Non voglio farlo però entrando nel merito della riforma ma rovesciando la prospettiva e partendo da una sorta di autoanalisi “dal basso” di alcuni nervi scoperti del nostro sistema scolastico  e che questa riforma (e qualunque riforma ci sarà in futuro) è andata inevitabilmente a toccare . Lo farò con una serie di interventi. Oggi desidero fare alcune considerazioni politicamente scorrette sulla valutazione. In primo luogo vorrei far notare il rapporto idiosincrasico tra i professori e la così detta valutazione.  Parlare di valutazione della scuola e, per esempio, dei test INVALSI (che non valutano i singoli docenti ma il sistema scolastico in generale) è come cospargere di aglio Dracula o bestemmiare in chiesa quando Torquemada celebra messa. Non parliamo di quando si paventa una valutazione degli insegnanti o dei loro curricula: ci sono vere e proprie sollevazioni di popolo: valutare gli insegnanti è un tabù.

Su questo punto vorrei fare notare una contraddizione macroscopica ed autoevidente che tuttavia non viene mai utilizzata come argomento di discussione.

Cosa fanno i professori della scuola italiana per la maggior parte del loro tempo? Valutano gli studenti! Danno voti, fiumi di voti, preparano verifiche, correggono compiti e stilano complessissime tabelle con articolazioni e sotto articolazioni esoteriche per assegnare un voto in decimi: “0,3 alla domanda corretta ma non esatta, 0,5 a quella esatta ma parzialmente corretta, -0,5 alla domanda errata, -0,01 a quella con un errore di ortografia ma scritta con l’evidente intento di essere corretta…”.Gli studenti, a loro volta, cosa fanno? Vanno a caccia di voti: cercano di conquistarsi i migliori o allontanare lo spettro di un test o interrogazione sgradita. La scuola è un contenitore che trabocca valutazione (un certo tipo, a mio avviso, deteriore di valutazione).

La maggior parte dei consigli di classe (praterie di tempo sprecato) vengono spesi per questioni di lana caprina rispetto alle medie dei voti degli studenti del tipo: “tizio ha preso tre volte di fila 5,3 ma un 6,4 nell’ultima interrogazione, mi sento moralmente impossibilitata a darle la sufficienza perché la media matematica, ecc…”; oppure “…io ho un 7,3 un 9 e un 8,9… non mi sento di darle 9 anche se è una ragazza studiosa – …l’altro giorno aveva una gonna orribile…l’avete vista? –  se qualcuno toglie 0,5 io potrei però dare 9 anche se so che… ecc…”.I voti degli studenti e delle studentesse sono al centro anche del lavoro collegiale!

E questa valutazione avviene a senso unico: professori Vs. studenti. Punto. Diciamo, allora, che suona quantomeno strano che gli unici che valutano e giudicano – ovvero i professori – non ammettano che in nessun “angolo” di una qualunque proposta di riforma della scuola ci sia una forma di valutazione dei professori (che sia il Preside sceriffo che valuta i curricula, o gli studenti caporali chiamati a esprimere una valutazione sull’operato dei docenti). E le questioni legate alla valutazione che potrebbero sembrare un tema di secondaria importanza, a mio avviso, frenano più di quanto non osiamo immaginare ogni ipotesi di riforma della scuola che – anche fosse la migliore del mondo –  deve passare per un processo di valutazione delle competenze, dei bisogni e delle risorse a disposizione della scuola per tentarne un riassetto, una profonda trasformazione.Io credo che molti dei docenti di oggi – non tutti ovviamente – non sappiano cosa sia in realtà la valutazione (e non abbiano seguito le tappe della pedagogia degli ultimi venti o trent’ anni) e siano legati a un stereotipo spaventoso e primo novecentesco della valutazione che genera mostri.

Per la maggior parte dei docenti la valutazione è un atto giudicante, mortificante, una specie di sentenza appellabile solo con un’altra sentenza più favorevole…e giudica la persona, non la prestazione, è individuale e non serve a riorganizzare le risorse per migliore un contesto (che sia di vita che sia di lavoro). Se è così non faccio fatica a credere che gli insegnanti facciano resistenza di fronte alla possibilità di essere valutati (in questo modo dico io). Di questo tipo di valutazione anch’io avrei paura!

La mia insegnante di lettere delle scuole superiori mi diceva sempre: “Francesco, tu hai la faccia da 6…”. “La faccia da 6” mi diceva. Una volta feci un tema su un argomento che mi appassionava tantissimo. Mi diede 7 scrivendo – a penna rossa  sotto il voto – che avevo copiato bene e che non poteva provare dove avevo preso i materiali per il mio tema e perciò a malincuore mi lasciava 7.Io credo che, facendo i dovuti distinguo, la valutazione – oggi – sia rimasta agganciata a questo immaginario giudicante, mortificante e competitivo. Una valutazione che non riesca realmente ad andare al di là del voto e utilizzata in modo completamente asimmetrico nega la grande dinamicità  che potenzialmente genera la verifica di reciproci obiettivi (docente-studente), che consistano in oggetti di studio o acquisizioni relazionali.

Concludo dicendo che oggi, più che a un conflitto con il governo sui diritti-doveri dei docenti e su eventuali libertà mortificate degli insegnanti  da un paventato clima competitivo della scuola, assistiamo a un conflitto generazionale; un conflitto che nasce da una diversa concezione “dello stare nel proprio tempo”, dell’interpretare il proprio ruolo nella propria epoca. Purtroppo è difficile da ammettere ma i professori sono “vecchi”, oltre che mediamente piuttosto anziani (e sia detto con rispetto per le persone anziane). Sono vecchi perché non concepiscono il cambiamento, non lo desiderano, lo vedono come una minaccia. Sono quindi, come tutti i vecchi, impauriti.

Non è certo provando a impedire di valutare i nostri curricula di studi e di formazione che dobbiamo iniziare la nostra lotta, ma da noi stessi. Certo, a volte il voto ingiusto, brucia, e fa male: ma se anche noi insegnanti non corriamo il rischio di essere valutati, non proviamo cosa vuol dire, come possiamo aiutare i nostri studenti a una valutazione e autovalutazione responsabile?La scuola ha bisogno di aprirsi, di cercare cooperazione e crescita relazionale anche negli atti valutativi che devono essere simmetrici e reciproci. Ovviamente rispettando i ruoli di ciascuno, laddove dovranno essere accompagnati e facilitati da una guida adulta capace di stare in ascolto. E in questa facilitazione, in questo essere guide, anche noi insegnanti potremmo ritrovare un ruolo nuovo che vada oltre la sottile contrapposizione che creiamo con i nostri studenti, le famiglie (e anche i nostri presidi) in modo più o meno consapevole.

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