Il giorno dopo la morte di Mandela, come al solito, sono andato in pasticceria a fare colazione e un bambino di circa dieci anni rivolgendosi alla nonna ha chiesto: “Nonna, sai che è morto Nelson Mandela?”. E la nonna in dialetto: “…e chi el (chi è, NdA) Nelson Mandela…?”. “Non lo sai nonna?”. “Speta a’ jo capì (aspetta ho capito)… un cantante!”. “Ma no nonna il premio Nobel per la pace…”. “ Ah, a ‘jo capì, col nigor? (Ho capito, quello di colore?”. “Sì!”… “Mej lu che mi (meglio lui di me)”. Poi la nonna è uscita dalla pasticceria a fumare una sigaretta con il bocchino che si usava tanti anni fa. Il bambino è rimasto di fianco a me e abbiamo fatto due chiacchiere.
Mi ha spiegato che Nelson Mandela ha fatto 27 anni di prigione (non ho controllato ma non importa) e mi ha detto che all’inizio i suoi carcerieri lo tenevano come un altro carcerato e non lo rispettavano, poi però, con il passare del tempo erano loro che – per rispetto – lo salutavano per primi e quando andavano in cella lui era spesso rivolto verso la finestra a guardare oltre le sbarre.